“Dite a Laila di accettare le condoglianze per me”.

Con queste parole pronunciate pochi giorni fa il prigioniero politico egiziano Alaa Abdel Fattah ha espresso alla madre le proprie intenzioni di mettere fine ad un’esistenza resa insostenibile dalle condizioni disumane in cui è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Tora 2.

Sebbene il suo caso sia caso sia, dal punto divista mediatico, meno noto di altri alla società italiana, Alaa Abdel Fattah è probabilmente uno dei più famosi difensori dei diritti umani in Egitto e il suo attivismo rappresenta un punto di riferimento per migliaia di persone, soprattutto giovani. Per la sua attività di blogging è stato insignito del Premio Reporters Without Borders nel 2005. Arrestato sul finire del 2013 con l’accusa di aver organizzato una protesta non autorizzata, è stato condannato a scontare una pena detentiva della durata di cinque anni e a trascorrerne altrettanti in libertà vigilata,una misura molto comune in Egitto che serve a privare di fatto della libertà personale i dissidenti politici costringendoli a trascorrere anche dodici ore al giorno nella più prossima stazione di polizia.

Storia di una sofferenza che sembra non avere fine

Esattamente due anni fa, nel settembre 2019,Alaa Abdel Fattah veniva arrestato e accusato dei reati di terrorismo e diffusione di notizie false, secondo una ben nota formula usata dai tribunali speciali contro i membri della società civile egiziana e non solo, che prevede il medesimo pacchetto di accuse pre-confezionate ma abbastanza gravi da giustificare anni di detenzione in custodia preventiva. Da allora è detenuto in attesa di processo relativamente al caso n.1356/2019 in una struttura di massima sicurezza.

Durante gli anni trascorsi in detenzione ha subito ed è stato testimone di abusi estremamente gravi contro i prigionieri per mano delle autorità carcerarie.

Lo scorso luglio ha raccontato alla propria famiglia di un altro prigioniero, Ahmed Saber, la cui salute si era gravemente deteriorata senza che gli venisse permesso di farsi visitare da un medico. Quando le sue condizioni erano diventate critiche, Alaa e altri compagni di detenzione avevano protestato gridando a gran voce, chiedendo alle autorità carcerarie di soccorrerlo e far intervenire un medico. La protesta era stata ignorata e il detenuto è morto nella sua cella cinque ore dopo.

A seguito di quell’episodio, Alaa e altri detenuti avevano iniziato uno sciopero della fame per protestare contro l'indifferenza dimostrata dalle autorità del carcere di Tora 2 nei confronti dei detenuti e del loro diritto alle cure mediche, inclusi i trattamenti sanitari salvavita.
Anche la famiglia di Alaa aveva sostenuto l’iniziativa, presentando un esposto alla Procura di stato per denunciare la negligenza delle autorità carcerarie verso lo stato di salute dei detenuti. Le richieste di entrambi, tuttavia, sono rimaste da allora inascoltate.

Durante una visita familiare, Alaa aveva confidato alla madre di star “convivendo con la morte”.

Il 12 settembre 2021, come in altre occasioni la madre di Alaa si è recata a fargli visita e a consegnargli un pacco contenente cibo e vestiti, ma diversamente dalle altre volte non le è stato permesso avere una conferma circa il suo stato di salute. Ad Alaa, come ad altri prigionieri, è stato negato il diritto di visita da parte dei parenti,così lui e la famiglia si limitano a scambiarsi un breve messaggio di saluti e rassicurazioni circa le proprie condizioni attraverso brevi lettere consegnate a mano. Domenica 12 settembre, tuttavia, alla madre di Alaa non è stato riferito alcun messaggio da parte del figlio, destando sconcerto e preoccupazione nella famiglia.

Il giorno seguente era prevista una sessione della Corte per deliberare sul rinnovo della custodia preventiva di Alaa Abdel Fattah. Nel corso di quella seduta è stato deciso il rinnovo della custodia cautelare, e più tardi quel giorno la famiglia si è vista recapitare unmessaggio di Alaa nel quale l’attivista accenna alla volontà di togliersi la vita spinto dalle condizioni tremende in cui è detenuto in carcere: “dite a Laila [la madre] di accettare le condoglianze [per la mia morte]”.

Le parole indirizzate alla madre sono state diffuse attraverso i social media insieme a messaggi di solidarietà e preoccupazione che sono circolati rapidamente in poche ore, beneficiando anche del fatto che Alaa, sua madre e le sue sorelle sono attiviste molto conosciute e rispettate all’interno della società civile egiziana.

La storia della famiglia di Alaa Abdel Fattah è emblematica della crudeltà della repressione dell’opposizione politica in Egitto, della sua capacità di tramandarsi fedelmente da un regime all’altro nonostante il passare del tempo. I genitori di Alaa, Seif e Laila, sono figure storiche della società civile egiziana: lui, scomparso nel 2014, era un avvocato inprima linea per i diritti umani, lei è tuttora un’attivista che denuncia apertamente i crimini del regime, oltre che una docente universitaria. Le sorelle di Alaa, Mona Seif e Sanaa Seif, sono a loro volta figure di primo piano nel panorama movimentista egiziano; Sanaa è stata condannata per la seconda volta ad un periodo di reclusione a causa del suo attivismo a marzo 2021.

Diritti,lotte, dolore: Laila Soueif racconta l’impegno per il figlio e per le persone detenute in Egitto

La dottoressa Laila Soueif, madre di Alaa Abdel Fattah, ha accettato di essere intervistata da EgyptWide per denunciare la situazione di suo figlio in carcere.

“Le privazioni cui Alaa è soggetto includono il divieto di leggere e fare movimento o attività fisica” ha raccontato.“Durante le interminabili giornate in cella perde la cognizione del tempo e non sa che ora sia, perché non gli è permesso avere con sé un orologio. Nessuna persona dovrebbe essere sottoposta ad un simile trattamento, a prescindere dal fatto che si tratti di una persona condannata per reati d’opinione o per reati comuni, un detenuto in attesa di processo, o chiunque altro.”

La dottoressa ha voluto precisare che i trattamenti cui è sottoposto suo figlio sono equiparabili a violazioni dei diritti umani, e che purtroppo quello di Alaa non è un caso isolato.“Centinaia, forse migliaia di persone subiscono abusi come questi, e forse anche peggiori” ha aggiunto “In certi casi, alle persone detenute vengono negate per anni le visite familiari. In questo senso, è irrilevante che le accuse contro di lui siano fondate o meno. Niente può giustificare il trattamento cui è sottoposto in carcere. Ogni persona privata della libertà personale, anche se dovesse trattarsi di un condannato a morte, ha diritto a leggere e fare attività fisica in carcere”.

La notizia del messaggio di Alaa alla famigliaha destato enorme sconcerto e apprensione all’interno della comunità egiziana dei diritti umani. Nonostante i numerosi arresti che ha subito e l’accanimento giudiziario contro di lui, a coloro che lo seguono è sempre apparso forte,animato da una speranza incrollabile. Questa volta, tuttavia, è completamente diverso. Le restrizioni che gli sono state imposte sono studiate per piegare la sua volontà e spezzarlo, rappresentano la stretta con cui il regime intende strangolarlo. La settimana scorsa ci è quasi riuscito, spingendo Alaa a pensare di togliersi la vita.

“Alaa mi ha temporaneamente rassicurata” ci ha confidato la dottoressa Laila quando le abbiamo chiesto notizie circa la situazione di suo figlio. “Dopo aver saputo della grande preoccupazione della famiglia e della comunità egiziana delle e dei difensori dei diritti umani, ha promesso di continuare a lottare per noi, ma in definitiva, se le circostanze non dovessero migliorare, è assolutamente possibile che la sua volontà di vivere si spenga”.

Per propria parte, la famiglia di Alaa non ha perso tempo e si è mobilitata come in numerose altre occasioni per opporsi agli abusi cui egli è soggetto in carcere. Il 14 settembre Laila Soueif ha inviato una richiesta formale all’autorità carceraria del penitenziario di Tora 2 circa la mancata attuazione dei provvedimenti per il miglioramento delle condizioni detentive di Alaa che era stata promessa mesi prima, ma che non ha ancora prodotto risultati concreti. La dottoressa Laila ha inoltre presentato un nuovo esposto alla Procura e al dipartimento competente presso il Ministero degli Interni contro l’agente della sicurezza nazionale (NSA) che ha aggredito Alaa al suo ingresso nel carcere subito dopo il suo arresto nel settembre 2019. Nonostante la famiglia avesse già presentato diversi esposti contro l’agente, l’aggressione non è mai stata investigata.

La dottoressa ci ha inoltre fatto sapere che anche l’avvocato di Alaa, Khaled Ali, sta attualmente provvedendo a presentare alla Procura una richiesta di intervento circa le condizioni detentive di Alaa, e che lui e la famiglia intendono inviare una segnalazione a tutte le autorità competenti in materia di diritti umani in Egitto e presso le Nazioni Unite.

Suicidi e disperazione nelle carceri egiziane

Alaa Abdel Fattah non sarebbe il primo detenuto a pensare di togliersi la vita a causa delle tremende condizioni in cui versano le carceri egiziane. Si contano ad oggi numerosi casi di persone che hanno tentato il suicidio e sono state salvate in extremis, fra i quali ricordiamo l’attivista Abdel-Rahman Tariq, conosciuto come “Mocha”, il giornalista noto come Mohamed Oxygen, e la giornalista Alia Awwad, condannata a tre anni di reclusione per via del suo lavoro. Durante la detenzione le è stato sistematicamente negato qualsiasi tipo di trattamento sanitario, persino quando ha sviluppato un tumore che ha diramato metastasi in vari organi, fra i quali l’utero. A seguito del diniegodi poter ricevere cure mediche ha annunciato alla famiglia la propria volontàdi togliersi la vita, come molte altre persone hanno fatto prima di lei.

Anche Patrick Zaki, studente presso l’Università di Bologna in Italia, ha recentemente manifestato la propria disperazione in una lettera ai familiari che ha destato non poche preoccupazioni per l’eventualità che il giovane potesse essere spinto al suicidio.

Concludiamo riportando, con il consenso della famiglia, una lettera che Alaa Abdel Fattah ha scritto alla madre per rassicurarla, con la preghiera a coloro che leggono di unirsi a noi nel fare di queste parole strumenti di lotta. Non vogliamo dover fare le condoglianze a Laila Soueif, né a nessuna  delle migliaia di famiglie egiziane che hannouno o più membri in carcere, mai più.

“Come stai, mamma? Mi dispiace averti fatta preoccupare negli ultimi tempi. É stato un periodo molto duro, e sento che dovrò trascorrere il resto della vita qui, perennemente sotto sorveglianza, almeno fino a quando sarò ritenuto troppo vecchio per costituire una minaccia. Non riesco a immaginare come potrò ricoprire il ruolo di padre per Khaled [il figlio di Alaa, nato mentre egli si trovava in carcere], come sarebbe doverlo vedere per soli venti minuti, una volta ogni qualche mese, fino a quando sarà un adolescente. La mia capacità di immaginare il futuro si è spenta, non riesco a pensare come sarà la mia vita una volta fuori da qui, ma la cosa più difficile è dover restare in questa situazione, chiuso a chiave per 24 ore al giorno, senza poter fare nulla, senza nulla per tenere impegnata la mente. Le uniche attività che mi vengono concesse sono una partita a scacchi al giorno [probabilmente da solo, dal momento che non gli è permesso incontrare nessuno], e di poter cucinare una volta ogni tanto.
Ma sarò forte, lo sopporterò perché tu credi in me, e non ho altro che questa promessa da mantenere a me stesso: ritornare a te. Non mi rimangono altre ambizioni nella vita che questa. Sono molto stressato e l’isolamento mi fa male, ieri è stata una giornata estremamente faticosa. Mi hanno portato davanti al giudice e poi riportato in cella senza averlo potuto vedere; trenta minuti dopo, mi hanno condotto in aula una seconda volta, e il giudice ha scherzato sul fatto di avermi fatto un favore. Ho dato di matto davanti a tutti. Ma sarò forte, resisterò. Ti voglio tantissimo bene … Mi manchi moltissimo.”

[Lettera di Alaa Abdel Fattah alla madre Laila Soueif, 14 settembre 2021]

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